Shit and Die - Torino

Storie di vita e morte legate alla città di Torino

La mostra curata da Maurizio Cattelan, artista in cassa integrazione per propria volontà, assieme a Myriam Ben Salah e Marta Papini, si potrà vedere sino all’11 gennaio 2015 presso Palazzo Cavour, storica residenza torinese del noto politico. La mostra rientra nell’edizione di Artissima, detta One Torino, che pure quest’anno si è tenuta al Lingotto sotto la regia di Sara Cosulich. Una fiera d’arte sottotono, ma che ha il pregio per l’appunto di regalarci, grazie ad una regia da perfetta casalinga senza ambizioni della Cosulich, delle mostre affidate ad altri di grande interesse.

Questa di Cattelan& C. non è una mostra etica che rispetta la storia dell’arte, bensì una mostra “morale” che racconta in sette sezioni i sette vizi capitali o le sette virtù torinesi. I personaggi o i fatti che legano le persone o cose alla città sono puramente casuali (testuale in catalogo). Così come, si dice, la “passione”per le feci del Camillo Benso di Cavour, di cui si usa il Palazzo di casa. Ma la vita è più complessa ed ecco che Shit and Die diventa il percorso di una storia di vita della città più famosa del settore magico, in quanto inscritta sia nel triangolo della magia bianca che di quella nera. Ed in fondo ricordiamo l’incipit del romanzo “Il Profumo” di Patrick Suskind: si nasce fra le feci e poi si lotta per morire. Benché il titolo sia mutuato da un altro titolo che è di Bruce Naumann. Ecco, la mostra racconta di questa nascita e di questa morte, con alto valore morale. Di fatto si inizia nell’atrio, dove Eric Doeringer addobba tutti muri dell’entrata e dello scalone con dollari veri, che sono il terzo di un premio vinto ad una lotteria americana da parte di un artista che li aveva, poi, attaccati tutti al muro della galleria dove esponeva. Qui il disprezzo per il vile denaro è evidente, anche quando questo è ben disposto a parete. Si ricordi l’attinenza proverbiale fra la merda che porta bene e il denaro. Si entra quindi in un Souk africano molto carino etnicamente parlando, anche se non nuovo, per uscire ed entrare in una sala in penombra dove un video (la cui proiezione dovrebbe avere le misure della finestra degli appartamenti dell’unità residenziale di Talponia ideata da Gabetti per la Olivetti in Ivrea) ci illustra i dialoghi del film “La Guerra fra i Mondi” di Spielberg, già remake di un altro film, e tratto dal romanzo fantascientifico di Wells.

Qui i dialoghi sono recitati da una famiglia ebra che è la stessa famiglia dell’artista Guy Ben-Ner, la quale, terrorizzata da rumori e spostamenti improvvisi con accadimenti sconosciuti, ci fa capire come la paura sia dentro di noi e possa rivelarsi inconsistente tutta la ragione del mondo. Il tutto viene proiettato all’interno di un arredamento anni sessanta, insolito per l’epoca attuale. Si va oltre per uscire in una sala dedicata a dei diagrammi, con foto sulla razionalità del design tipo Ikea, nel mentre si sale su di un ballatoio, o piantana, che sotto tiene delle tele bianche e vergini con terra dispostavi sopra, la quale nel tempo depositerà il proprio humus che a fine mostra diventerà il disegno del tempo sulla tela stessa. Modalità non nuova, anche se posta in termini diversi dal passato. Si passa alla sezione Aldologica dedicata all’artista torinese Aldo Mondino, con i suoi tappeti ricavati dal pressato in uso per le costruzioni edili e la sua Torre di Torrone ironica. Double e Trouble è una delle sezioni più interessanti e curiose a cui è legata la nostra sessualità e in queste stanze bellissime, dipinte a mano dagli artisti, con attaccate alle pareti disegnate delle foto di artiste femministe, come Valie Export e altre, che sfottono e deridono il mondo stupido che grazie a loro ha cambiato le regole della libertà. Ricordo che queste artiste hanno subito processi per la loro libertà che si sono rivelati utili poi per tutti (vedi quello di Charlotte Moormann in New York). Ma prima, a mo’ di introduzione, vi sono le raffinatissime polaroid dell’architetto e designer torinese: Carlo Mollino, con le sue signore dai posteriori a “bauletto”. Passando per un acquarello di Carol Rama in cui una donna, ripresa dall’alto, sembra fuggire con attaccata una coda a salame escrementizio. Tutto ciò che passa ingrassa, dice il proverbio. E così la vita: tutto ciò che passa ingrassa e rende la carne molle e piena di rughe della storia del proprio vissuto, sino ad arrivare allo scheletro del prof. Giacomini donato al Museo dell’anatomia umana “Luigi Rolando” dell’Università di Torino. Attorniato, lo scheletro, da quadri con ritratti di famiglie: i Berlusconi; o del doppio Alighiero e Boetti del cinese Yan Pei-Ming; una Carla Bruni di Vezzoli lacrima dentro una cornice ottocentesca; una Marisa Merz accanto ad una sua testina sorride complice della sua ottuagenaria età e così gli altri tutti compresi e compressi nella stanza arredata in stile quadreria museo. Più oltre una bimba seduta su un angolo di una stanza semi buia si lascia coccolare, impaurita da una lampada che gira lanciando un fascio di luce ogni tanto su di lei, che ci fissa.

Ah, finalmente il colore. Una stanza che sembra un mausoleo bizantino invece è la nuova pittura del greco SteliosFaitakis che racconta le lotte popolari con la pittura bizantina, come fossero icone enormi. Intima quella dedicata al filoso Nietzsche quando nel 1988 a Torino abbraccia il cavallo, slittato a terra a causa del bagnato, mentre viene frustato dal vetturino: Friedrich si mette fra loro difendendo il cavallo dalle frustate. A fianco una bellissima sala con nel mezzo una forca, quella stessa del Rondò della Forca ex piazza torinese, con cui per un quindicennio vennero impiccati i condannati a morte e fra questi Giorgio Orsolano, dal quoziente di intelligenza geniale, che, divenuto macellaio, sembra macellasse giovinette con cui fare dolci salcicce umane e fu impiccato nel 1835 reo confesso. A fianco un piccolo ritratto in veste di ex voto di Luigi Ruatti lo ricorda, assieme a due altri dipinti strani di Markus Schinwald. Finalmente una stanza normale della casa di Cavour dove tutto è rimasto al suo posto, ma è tutto ricoperto da un telo trasparente di plastica. E’ lo studio di Cavour, messo sotto vuoto, conservato in maniera feticista e quasi maniacale. Il busto di lato e racchiuso nella plastica che gli dona un effetto straniante, sembra che sia tutto ricoperto come da non usare, per conservare e soprattutto per imbiancare, come nei sepolcri. La contessa di Castiglione, amante del Cavour, aleggia in spirito in questa stanza a lei dedicata quale feticista dei piedi: qui si sente il bisogno di non toccare….altra invece l’aria del salone successivo con sbocco nella scale d’entrata e quindi ritorno nel vile denaro. Qui, al centro del salone, in un pavimento in legno chiaro, un’auto fracassata da un incidente ci indica la fine del viaggio nel corpo e nella mente. Tutto finisce mortalmente, fra l’altro, in un tempo scandito da una cinquantina di metronomi, posti in fila da Martin Creed. Caducità e Tempo anche per l’industria più famosa del Torinese: la Fiat. Memento mori suo, questo? Ciò che conta è che siamo alla fine del viaggio e la nostra anima esce dall’orifizio in cui era entrata e si era mossa all’interno di un budello, a volte ironico, a volte canzonatorio, ma con una morale di fondo: qualunque cosa farai, ovunque Tu andrai, dovrai sempre, per vivere, usare due orifizi, uno alto ed uno basso, e pertanto sarai condannato come il nano di Spoon River della poesia di Lee Masters ad essere un nulla nell’Universo. (Non al denaro, non all’amore né al cielo. Fabrizio De André: intervista di Fernanda Pivano).

Boris Brollo

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Pubblicato il 07 Dicembre 2014