CONFERENZA " L'ARTE IN ROVINA, O LA ROVINA DELL'ARTE?

L'ARTE IN ROVINA, O, LA ROVINA DELL'ARTE

 

Ragionando sulla mostra RUINS/ROVINE di Lorisandrea Vianello con il Direttore dottor Federico Bonfanti si era giunti ad una verità provvisoria, e cioè che ogni Civiltà lascia le sue rovine. Cosa che ha messo in movimento il mio cervello. Fra l'altro il dottor Federico mi faceva presente l'uscita di un libro di sua conoscenza che è la Storia Universale delle Rovine di Alain Schnapp. Ulteriore suggerimento per una riflessione sul caso. Pensando all'Arte Contemporanea mi si è presentata tutta una serie di suggestioni in corso d'opera, dato che avendo in passato fatto il restauratore, mi ricordai di tante opere di arte contemporanea ingestibili da restaurare, proprio per la loro natura oggettiva. Cioè i materiali di cui l'arte contemporanea si compone sono di per sé appartenenti alla nostra epoca avendo superato l'artista l'uso del pennello e dell'olio che formava in ultima analisi il suo prodotto: il quadro; adesso le opere sono composte da manufatti di plastica, legno, ferro, oppure da elementi fisiologici: liquidi o aerei. Ciò mi ha fatto riflettere sulla "fragilità", sul punto di non ritorno, del Contemporaneo. Penso, ad esempio, alla serie Fibonacci di Mario Merz con Coccodrillo imbalsamato, luci al neon, e tela dipinta. Ad esempio. Ma torniamo alla dimensione estetica. Riprendo qui in breve il testo di un fotografo Andrea Schettin dal suo libro Mondi Paralleli: " dove c'è l'abbandono c'è un mondo nuovo.....dietro al muro diroccato c'è un'altra civiltà. I rumori cambiano. Le luci cambiano. Cambia la percezione del tempo. Si trovano segni di stampo street art che rimandano a geroglifici del passato, a lingue sconosciute. Cose abbandonate: vestiti, oggetti, e a volte pure macchinari, mi sembra di entrare in una astronave dimenticata od in una dimensione parallela post-atomica. Questi luoghi sono stati abbandonati dall'uomo ma continuano a vivere una loro bolla spazio-temporale di cui porto la testimonianza nelle sequenze fotografiche."

Ecco, se applichiamo queste sue considerazioni, abbastanza semplici e normali, possiamo guardare al mondo del Contemporaneo con un occhio disincantato, in cui troviamo Autori che, dentro la caverna platonica in cui viviamo, ci hanno dato per opere: macchine semovibili, come Jean Tinguely. O, opere dipinte non dal pennello, ma dal colore colato in conseguenza a degli spari su bottiglie di colore di Niky De Saint Phalle.

Oppure, catorci d'auto compresse e schiacciate e ridotte in cubi di rottami, spacciate in giro per sculture da Cesar Baldaccini. E che dire di Mario Merz con i suoi Igloo fatti di fascine di arbusti, o di tralci di vite? E le sculture di Franz West costruite con pezze imbevute di gesso dalle forme strane, considerate opere da portare in braccio come scultura da passeggio? E ancora il Piero Manzoni con i suoi fiati d'artista, cioè palloncini gonfiati da lui stesso che nel tempo si sono sgonfiati, e a volte scoppiati, e per questo considerati reliquia d'artista dal valore di 200/300 mila euro? La sua Merda d'artista ha posto grossi problemi di restauro. È possibile mettere il contenuto su una nuova scatola? o mantenere la scatola che reca la data e firma a scapito del contenuto che può essere andato perso? Ricordo un mio viaggio a Berlino da un giovane gallerista, figlio di un famoso artista, al quale portai delle opere di Daniel Spoerri. Queste erano dei Tableau Pleiée (Tavoli Piegati) con sopra incollati piatti, tovaglioli di carta con note scritte sulla serata, mozziconi di sigaretta, tazzine di caffè e bottiglie. Ecco, nel trasporto col camion mi si staccarono dal tavolo un paio di bottiglie ed una si ruppe. Che fare? comperai una bottiglia nuova di Fernet Branca, la svuotai in parte e incollai al posto della precedente quella nuova sana, che fece la sua bella figura a tavolo aperto in galleria. E ancora, Al Hansen, artista danese noto per le sue ubriacature e grande fumatore, aveva trovato il sistema di usare le sue cicche di sigaretta nel metterle all'interno del quadro costruendo con esse delle figure femminili. Quando si perdevano, staccandosi nel trasporto da una galleria all'altra, o nei traslochi, si raccattavano mozziconi con filtro e si riempivano i posti rimasti scoperti.

In Conservare L'Arte Contemporanea: problemi-metodi-materiali-ricerche, gli autori Oscar Chiantore, professore ordinario di Chimica e Tecnologie dei polimeri dell'Università di Torino, e Antonio Rava restauratore proposto alla conservazione degli Istituti Universitari di Torino, sostengono che "dedicare un volume alla conservazione dell'Arte Contemporanea potrebbe sembrare una contraddizione in termini, poiché le opere di recente produzione non dovrebbero necessitare di cure contro l'invecchiamento e il degrado. Ma non è così: fin dalle prime avanguardie del Novecento il lavoro dell'artista si è progressivamente liberato da esigenze mimetiche e narrative, adottando nuovi criteri linguistici e compositivi, ma soprattutto nuove tecniche e materiali di cui oggi spesso si ignorano le caratteristiche che ne determinano l'uso. Ma, al Restauratore è anche richiesta la capacità di penetrare nell'universo intellettuale dell'artista nel rispetto dell'idea originaria, che talvolta risiede proprio nella teorizzazione del valore effimero del suo lavoro."

Questo della teorizzazione del valore sull'effimero nell'opera mi porta a considerare il Manifesto dell'Effimero pubblicato nel 1981 dall'artista Biagio Pancino, originario di San Stino, ma dal 1952 vissuto in Francia, passato dalla pittura ad olio, all'uso degli ortaggi dentro al quadro nel 1975. Egli inchiodava patate (pomme de terre) che prima colorava e, poi, inchiodava come povere cose su tavolati, componendo all'interno di essi opere dai colori diversi, a seconda dell'intenzione. Fosse un'idea astratta o misteriosi paesaggi. Le patate nel loro lento marcire rilasciavano il liquido interno, e si contraevano nello svuotamento assumendo alla fine un aspetto mummificato definitivo. Questa operazione del lavorìo del tempo conteneva l'effimero della durata, come nella carne, e l'ineffabile operare del tempo verso una nuova stagione di eternità. Ma ciò vuol pure dire la rovina dell'arte, fra virgolette. Nel senso che l'Autore, l'Artista, non è più lui che opera, ma agenti esterni che si impossessano dell'opera e la concludono. Tant'è che, pure nella pittura dell'ultimo ventennio, vi è una teoria simile in quanto l'artista dev'essere sempre più distaccato dall'opera e quindi indifferente nei confronti della propria visione, Essa, per essere, deve passare sotto la forca caudina del distacco emotivo. Qui si è vicini al fare dell'Intelligenza Artificiale! Al contrario di ciò che era l'opera in passato: cioè visione del mondo interiore dell'artista! Qui si è superata l'esperienza ancora visiva e manuale delle Rovine del Piranesi, oppure dei ruderi romantici della fine del Settecento divenuti dentro il Rococò "capricci" d'Autore che descrive Wikipedia. "Grande successo, nell'ambito vedutistico, ebbe il cosiddetto Capriccio. Legato alla dimensione del fantastico, il Capriccio ha come oggetto paesaggi di pura invenzione disseminati di rovine classiche in realtà poste in siti differenti. Pensiamo quanto sia facile sempre all'Intelligenza Artificiale darci scorci paesaggistici di questo tipo! Questa dimensione insostenibile dell'Essere si perde con le avanguardie del Novecento che muteranno il panorama dell'arte. Primo il Futurismo con il concetto di Velocità e poi della distruzione del Chiaro di Luna e l'entusiamo per la Guerra. Ma i veri disfattisti furono il Dadaismo, prima, e il Surrealismo, poi, quali Corni del problema: distruggere o conservare! E fra i due il più distruttivo dei Movimenti fu il Dadaismo che tese a fare tabula rasa dell'opera. Taglia un giornale a pezzettini e mettili in un sacchetto, poi scuotilo ed estrai i ritagli a caso, e così componi la tua poesia: scriveva, come manuale per il nuovo poeta, Tristan Tzara! Tant'è vero che Hans Richter e Hans Arp. essendo entrambi pittori, si spaventarono e pensarono che in pittura si dovesse dare in pasto qualche oggetto al collezionista, altrimenti era meglio chiudere bottega per fame! Tutto questo andava nella direzione rovinosa della fine dell'arte. Rovesciando, però lo stesso titolo di questa nostra prolusione possiamo chiederci l'Arte è in rovina? al momento pare di no! Ma non parlo dell'arte dei nostri pittori che rifanno il verso alle grandi forme d'arte esistenti, e quindi rimandano a modelli già noti intasando il mondo dell'arte con quadri che mai troveranno collocazione museale. Questa sì spazzatura artistica che soffoca l'arte. Preferibile il Silenzio a questo fare compulsivo ed inutile. Cioè di un produrre quadri inutili. Direi che è ora di girare la piramide di Kandinskij come una clessidra per un nuovo corso. L'amico Giancarlo Politi, editore internazionale della rivista Flash Art, anni fa scrisse che forse l'arte si è spostata nel Cinema. Allora lui citava il film Il Re Leone. Pure io la penso come lui, e cioè che ci venga a salvare il Cinema. Vi propongo due titoli in cui viene fatta una riflessione sull'arte in termini diversi dall'arte visiva, ma che ci portano allo stesso ragionamento che sto tentando di svolgere. 2001: Odissea nello Spazio, e, Il Pianeta delle Scimmie. In Odissea nello Spazio uno scimmione con un grosso osso sbatte su un mucchio di ossa più piccole spaccandole, inventando così il rumore. Prima il rumore era quello della Natura, degli alberi che si rompevano, dei richiami animaleschi. Qui, con questo intervento fisico, si crea un rumore/suono di natura meccanica. Un sonoro "moderno". E ciò accanto ad un megalite, totem in acciaio, di fattura umanoide proveniente dallo spazio. Rovina del futuro? O inizio di una nuova Civiltà?! Non più la macchina bruitista di Luigi Russolo, nostro conterraneo, ancora opera umana. A seguire Il Pianeta delle Scimmie dove il protagonista, l'attore Charlton Heston, cade con la sua nave spaziale in una terra comandata da scimmie parlanti, le quali si comportano come gli umani e lo tengono in schiavitù. Liberatosi, fugge verso una zona proibita, e arrivato su una spiaggia deserta si trova di fronte ad una specie di cattedrale in rovina. A ben guardare gli ricorda la forma della sua nave spaziale, semidistrutta e oramai abbandonata occupata dalla verdeggiante natura. Qui è chiaro il ritorno alla propria e altrui distruzione umana che lascia, quale monito, le sue rovine. Tant'è che le scimmie dirigenti avevano proibita la zona alle stesse scimmie sottoposte, affinché non scoprissero che vi erano altri mondi oltre al loro. Qui le rovine diventano pure monito ai falchi della scienza che primeggia sull'uomo. Jean Clair nel suo Critica alla Modernità ricorda che in fisica si fanno macchine enormi per scoprire l'elemento più piccolo dell'universo. Vedi il Bosone di Higgs detto pure la Particella di Dio. Concludo ricordando la presentazione del libro di Nello Cristianini: Sovrumano, a Quante Storie su RAI3- Il quale, interrogato sulla Intelligenza Artificiale, la famosa AI, tra le tante risposte ci fa capire che l’AI copre tutto ciò che è "cognitivo", e che la macchina potrebbe un giorno capire più di noi, ma non essere in grado di spiegarcelo. In quanto da Noi umani non contemplato! Pertanto, al momento, secondo lo stesso Autore, non ci resta che il Residuo. Pure qui ci viene assegnato un "resto", una rimanenza, della prossima civiltà delle macchine. Noi dobbiamo ritagliarci una parte della sapienza residua di ciò che la macchina non possa fare al momento. Possiamo individuare questo residuo nel processo creativo? Insomma, Noi non siamo esseri "onniscienti" e quindi comunque destinati alla povertà del lacerto, all'unicità del pezzo? Condannati quindi all'uso di una parte, di quel "particolare", nel quale sta Dio, a detta dello storico dell'arte: Aby Warburg. Quindi siamo una coscienza parcellizzata che si muove nelle rovine del Sapere? Ed è questa coscienza parziale della "bellezza" che salverà il Mondo?! Ai posteri l'ardua sentenza! Grazie.

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Pubblicato il 03 Giugno 2025

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