Sandro Sergi - Retrospettiva

Sandro Sergi - Retrospettiva

a cura di Marco Berengo

Le frasi citate da Paolo Rizzi nel catalogo di Sandro Sergi, in occasione della sua retrospettiva alle Prigioni di Venezia, sono sì chiarificatrici della sua posizione nell'arte veneta ma non sono "oneste" nel senso latino di "chiare" da parte del Sergi stesso in quanto persona umile e quindi soggetta a relegarsi in un ruolo minore. Viceversa esse, come qualsiasi spia psicoanalitica, sono un sintomo importante ed evidente della sua concezione dell'arte: "Spazio e Luce sono la mia caratteristica". Questa frase potrebbe benissimo essere controfirmata da Cezanne senza ombra di dubbio. E Sandro Sergi usa in maniera studiata il blu ed il verde colori tipici della poetica cezanniana e con il colore costruisce le sue figure nello spazio della tela già dalla prima metà degli anni quaranta; così come costruiva la sua pittura con "variazioni cromatiche e ritmi compositivi, senza alcuna interferenza letteraria" ed è qui il lapsus freudiano. Certo dal 1940 al 1950 la sua pittura onora di attenzioni reverenti i colleghi più importanti come Guidi e Gino Rossi con qualche linea che ricorda Modigliani come nella Bambina con il grembiule azzurro (1950), o nel Nudo del 1958. Ma già nel 1959, nel quadro degli Alberi, la sua pittura si arrotonda nel segno e diventa più sensuale anche nel colore che si accende di colpi di luce che rendono il volume dalle forme più dolce quali colline. Qui la sua pittura ha uno scarto che raccoglie quella "interferenza letteraria" che sembrava abbandonata culturalmente a favore di una pittura tutta elaborata sul versante colore. Il dato letterario si fa sentire e preme sul piano artistico. Un conto è operare senza di esse. Non sempre l'artista è cosciente della sua opera! le forme qui sono puro pensiero artistico non riflessione sulla costruzione della forma e quindi letterarie. Esse sono ancora visione. Oggi noi sappiamo, grazie alla psicologia, che il pensiero si presenta nella forma quale figura visiva prima che ragionata, cioè costruita grammaticalmente. Essa è ancora forma pura: diamante grezzo che va arrotondandosi come in Inganni (1968), o ne La grande Barriera di Fuoco (1968) o ancora in Riflessi (1970), cioè dimostrandone quel sintomo che nascosto alla coscienza emerge prepotente in forma simbolica. Abbandonata la verità della pittura realistica, degli inizi a cui ogni pittore è soggetto; abbandonata la pittura coloristica di accezione veneta quale artista che coglie in pieno il suo humus sociale e la storia di provenienza, emerge in Sandro Sergi una visione interiore della natura trasferita in quadri simbolici che tentano una sintesi fra visibile e invisibile, spirito e sensi, sogno e vita e ricordano la pittura dei Valloton e dei Nabis: Maurice Denis ed Emile Bernard. Alcune tele possono rimandare addirittura a Munch per la rotondità e ripetizione del segno come in Uccello (1970). Non so se ne era coscientemente informato ma qui le linee si chiudono in sé trattenendo in una linea esornativa un pieno, tralasciando un altro vuoto che rimanda ad altro sé, e cioè ancora ad un altro pieno, e così glissando fra pieni e vuoti che si penetrano vicendevolmente. La pittura diviene racconto letterario dove la pagina (si legga: il quadro) non vuol dire quello che si vede ma quello che si coglie nella sua narrazione per immagini. Già in Alberi (come detto sopra) si era potuto vedere questo trapasso che qualcuno ha interpretato quale avvicinamento all'Astrazione, diversamente Egli piegava la funzione narrativa della forma alla visione magica della pittura. Tutto questo non è estrano alla nostra cultura veneta anzi Sandro Sergi si ricollega a quella pittura di stampo metafisico nello stile di un altro veneto: il triestino Arturo Nathan. Pittura, la sua, che trova la propria ragione non tanto e non solo nel colore bensì anche nella forma come "trasferimento" e "trasfigurazione" della realtà quotidiana così spesso banale e inutile. Venezia è la città ideale per una visione non banale della vita. Essa è un topos dell'immaginario collettivo moderno. Lo prova essa stessa in quanto città diversa dalle altre sino all'inverosimile. Lo provano canzoni, cinema, dipinti tutti dedicati ad essa o di cui essa è teatro. Città bizantineggiante per eccellenza fra cupole, guglie e mosaici. Non era la città anche preferita da De Chirico? Non è la città che ha visto il passaggio di El Greco prima che andasse in Spagna? Non è la città che in Palazzo Ducale trattiene un Hieronymus Bosch fra i più curiosi, fra l'altro? Perchè meravigliarsi se un suo figlio moderno ne coglie l'erotismo delle guglie e delle cupole: mammelle che nutrono il cielo blu stellato, e allora? Beato lui che ha intravisto altro da noi ed oggi ce lo rende per mezzo dei suoi occhi tramite i suoi ultimi quadri. O, lo vediamo solo noi abbacinati da queste inedite forme...chissà...anche questo è il mistero di una pittura apparentemente semplice.

Boris Brollo

Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea

Dal 21 maggio al 3 luglio 2005

Inizio: 21-05-2005
Fine: 03-07-2005
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Pubblicato il 12 Maggio 2022